Psicoanalisi del testo. Seventeen. Sharon Van Etten e l’adolescenza vista dal futuro.

Quante volte capita che per rivolgerci a noi stessi usiamo altre persone? Ad esempio quando rimproveriamo qualcuno per poi renderci conto che il destinatario reale di quel rimprovero siamo noi.

Non dobbiamo scomodare Freud e il meccanismo psicologico della proiezione per capire che spesso diciamo ad altri qualcosa che vogliamo dire a noi stessi, e il fastidio che abbiamo verso l’altro è un fastidio per una parte di sé.

Nella canzone Seventeen, Sharon Van Etten grazie alla poesia della canzone (che ha un linguaggio simile all’inconscio) usa questo meccanismo in un modo utile per avvicinarsi a se.

I know what you wanna say
I think that you’re all the same
Constantly being led astray
You think you know something you don’t

So cosa vuoi dire
Penso che siete tutti gli stessi 
costantemente fuori strada
Pensate di sapere qualcosa che non sapete

L’autrice della canzone parla a qualcuno e dice di sapere cosa vuole dire quella persona. Già a questo punto, per la comprensione profonda delle parole dell’altro che non sono ancora state pronunciate, possiamo pensare che la persona a cui Sharon si rivolge non è un estraneo, ma qualcuno, il cui mondo interno non è separato così tanto dal proprio mondo interno. Qui possiamo iniziare, dal primo verso, a dubitare che la persona a cui la cantante si rivolge sia qualcuno di diverso da se.

Sharon attribuisce a quella persona parole di rivendicazione. “Siete tutti gli stessi, costantemente sviati nel significato incapaci di comprendere qualcosa che pensate di aver compreso”.

Questa barriera di incomprensibilità è un ostacolo di incomunicabilità che la cantante prova a valicare anticipando la sua interlocutrice, e prova a fargli capire che lei conosce profondamente i suoi pensieri, forse perché lei è chi ascolta, e parla semplicemente da una prospettiva temporale diversa, da un futuro che ancora non esiste per la ragazza che ascolta.

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Quindi la differenza tra le due sta nel tempo: sono la stessa persona, ma in un tempo diverso. C’è una linea temporale passato-futuro e le due protagoniste della canzone si pongono agli estremi di questa linea. Da una parte nel presente/futuro la cantante, e dall’altra parte nel passato la silenziosa interlocutrice.

Downtown hotspot halfway up the street
I used to be free, I used to be seventeen
Follow my shadow around your corner
I used to be seventeen, now you’re just like me

L’accesso al centro si incontra a metà strada
Ero libera, avevo diciassette anni
Segui la mia ombra dietro il tuo angolo
Avevo diciassette anni, ora sei proprio come me

Questi versi sembrano svelare ancora di più la sovrapponibilità delle esperienze delle due protagoniste del racconto della canzone. Segui la mia ombra dietro il tuo angolo, Avevo diciassette anni (gli anni che tu hai) ora sei proprio come me (io sono te).

Fino a qui nell’ascoltare la canzone e nel provare a capirla pensavo che Sharon si rivolgesse al suo passato con la classica idea di pensare ai bei tempi andati e alle scelte sbagliate che hanno portato al presente, ma questo è un cliché, un copione che forse era presente nella mia mente. Pensavo quindi che la canzone di Sharon fosse un disperato tentativo di recuperare i mondi perduti per le scelte fatte nella sua vita. Ma c’è un verso che cambia le cose:

Segui la mia ombra dietro il tuo angolo

Se da una parte questo verso serve a rimarcare la sovrapponibilità delle esperienze delle due (la mia ombra è dietro il tuo angolo) e a convincere l’interlocutrice che chi sta cantando è lei stessa, dall’altra parte la parola “Segui” apre un nuovo possibile significato.

La cantante infatti chiede di seguire la sua ombra, non di evitarla. Sembra che non voglia consigliare a se stessa di cambiare strada ad esempio continuando dritta. Sharon chiede di voltare all’angolo proprio come lei ha fatto nel suo passato (passato che è il presente dell’ascoltatrice). Ed è così che il verso “L’accesso al centro si incontra a metà strada” suona come una spiegazione, e sembra una rassicurazione.

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Sharon non sta dicendo scappa da questa vita, ma sta offrendo una rassicurazione alla Sharon di diciassette anni, e facendolo si occupa di se rassicurandosi.


Libertà e solitudine

Down beneath the ashes and the stone
Sure of what I’ve lived and have known
I see you so uncomfortably alone
I wish I could show you how much you’ve grown

Sotto le ceneri e la pietra
Sicura di ciò che ho vissuto e conosciuto
Ti vedo così inconfortabilmente sola
Spero che io possa mostrarti quanto sei cresciuta

Ma chi ha bisogno di essere sostenuta è quella diciassettenne libera che si sente così inconsolabilmente sola. Perché la libertà (I used to be free, I used to be Seventeen) sembra essere qualcosa che si paga con la solitudine. La libertà così tanto enfatizzata dal nostro mondo moderno, è qualcosa che intrinsecamente si scontra con la convivenza.

Convivere nei luoghi con le persone significa rinunciare a frammenti di libertà, perché più sono libero più sono libero di invadere il tuo spazio, di procurarti dolore. Ed è qui che la convivenza richiede un accordo, delle regole del gioco per poter giocare insieme con un dolore accettabile.
L’adolescenza è un momento culturale della vita in cui le regole devono essere messe in discussione, come se fosse necessario esplorare i limiti da tutte le direzioni per poterli comprendere a fondo.

Mentre avviene questo processo esiste l’inconsolabile solitudine di cui parla la cantante che però si dice sicura di quello che ha vissuto e continua dicendo che vorrebbe mostrarle quanto lei è cresciuta in quel futuro che, guardato dal passato, sembrava così incomprensibile.

Downtown hotspot used to be on this street
I used to be seventeen , I used to be seventeen
Now you’re a hotshot hanging on my block

L’accesso al centro era su questa strada
Avevo diciassette anni, avevo diciassette anni
Ora sei un bel colpo appeso al mio ostacolo

L’accesso al centro (Downtown hotspot), era su questa strada dice la cantante e sembra che parlando dello spazio si riferisca a qualcosa che ha a che fare con il mondo interno. Il centro, non è solo il centro della città, ma il centro del mondo rappresentato da quella strada, quando aveva diciassette anni. E tutta la solitudine, la libertà e l’incertezza che provava sono diventati una decorazione per i suoi nuovi ostacoli (hotspot hanging on my block), qualcosa che le ricorda gli ostacoli del passato e le ricorda di come li ha superati.

I know what you’re gonna be
I know that you’re gonna be
You’ll crumble it up just to see
Afraid that you’ll be just like me

So cosa sarai
So cosa sarai
Lo sbriciolerai solo per vedere
Paura che sarai proprio come me

Se da una parte Sharon si rassicura e parla di un futuro che è capace di integrare al suo interno il dolore del passato, dall’altra parte esiste una paura di diventare quello che è. La paura forse è di diventare ancora, di rivivere tutto di nuovo. Si esprime infatti quando pensa che la diciassettenne a cui si rivolge deve vivere ancora tutto quello che lei ha già vissuto.

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Downtown hotspot halfway through this life
I used to feel free, or was it just a dream?
Now you’re a hotshot, think you’re so carefree
But you’re just seventeen, so much like me
You’re just seventeen, you’re just seventeen 

L’accesso al centro attraverso questa vita
Mi sentivo libera, o era solo un sogno?
Ora che sei così brava, pensi di essere così spensierata
Ma hai solo diciassette anni, proprio come me
Hai solo diciassette anni, hai solo diciassette anni

La canzone di Sharon Van Etten è un discorso di una malinconia incoraggiante che fa da contrasto al presente e con la sua forza permette di dare valore alle scelte fatte, perché se da una parte scegliere significa perdere ciò che non si è scelto, dall’altra significa creare mondi nuovi che non esistono ancora.

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Sharon sembra cantare da uno di questi nuovi mondi e manda la sua voce attraverso uno spazio che è capace di trasmettere il suono nonostante il vuoto, come se la poesia e la musica fossero dei veicoli potenti proprio come i segnali che oggi vengono mandati in tutte le direzioni nello spazio al di fuori della terra con la speranza che qualcuno in un lontano futuro possa coglierli.

Sharon spera che lei dal suo lontano passato possa cogliere le sue parole, e mentre lo fa forse si rende conto che quella diciassettenne esiste ancora non nel passato, ma nel presente.

Canta come se quella ragazza fosse vicina, nel presente del suo mondo interno, perché la psicoanalisi ci racconta che il tempo in alcuni luoghi del nostra mente non esiste e la linea passato-futuro si riesce ad appiattire nel presente di una canzone.

 

Morgan Colaianni
Psicologia Clinica. Orientamento Creativo.

Una risposta a "Psicoanalisi del testo. Seventeen. Sharon Van Etten e l’adolescenza vista dal futuro."

  1. Analisi davvero interessante e effettivamente legata letteralmente al testo…. è molto raro trovare un’adesione così precisa… più spesso si leggono solo voli pindarici di “piccoli” Jung

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