L’espressione “Quel Bambino ha l’argento vivo addosso” viene usata per indicare i bambini che non riescono a stare fermi, e che si muovono tanto.
L’argento vivo è un modo per riferirsi al mercurio, una sostanza liquida contenuta nei termometri, gli strumenti per misurare la temperatura corporea o ambientale.
Non so se vi è mai capitato di rompere un termometro al mercurio, a me è capitato la prima volta da bambino e sono rimasto colpito da quella sostanza velenosa.
Quando si prova a raccogliere il mercurio da terra, questo è sfuggevole e inafferrabile, scorre tra le dita che provano a raccoglierlo e si scompone in piccole sfere più piccole di quelle iniziali.
Il mercurio è molto velenoso, se ingerito può provocare la morte.
La canzone di Daniele Silvestri parte da questa metafora linguistica, questo modo di dire, che accosta ai bambini che si muovono troppo alla sostanza pericolosa e inafferrabile per eccellenza che è appunto il mercurio.
Basterebbe analizzare questa espressione italiana, che è quello che Silvestri fa con la sua canzone, per intuire da dove proviene la sempre crescente diffusione di un nuovo disturbo mentale: Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD).
Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD)
Argento vivo ci suggerisce, proponendo una prospettiva diversa da quella dominate che vede i bambini “iperattivi” come persone affette da un disturbo mentale, che forse non siamo davanti ad un disturbo individuale del bambino che non riesce a stare fermo e che si muove troppo, ma ad un grosso problema collettivo.
Il problema collettivo sta proprio nel fatto che una certa psichiatria, e di conseguenza il nostro senso comune, sempre di più stia considerando un bambino o una bambina che non riescono a stare fermi e non riescono a focalizzare l’attenzione su argomenti non interessanti come persone da curare psichiatricamente.
Si potrebbe obiettare che l’ADHD è un dato di fatto, ma i dati di fatto si devono poggiare sui fatti, quindi andiamo a vedere su cosa poggia il costrutto.
Come si diagnostica L’ADHD?
Mentre molti problemi psicologici di bambini e adulti si diagnosticano attraverso l’osservazione diretta di un professionista della salute mentale nei confronti della persona che riceve una valutazione, l’ADHD si diagnostica, secondo la prassi, indirettamente attraverso un’intervista ai genitori, e agli insegnanti.
Ai genitori si rivolgono domande del tipo:
Muove spesso le mani o i piedi o si agita sulla sedia?
E’ distratto facilmente da stimoli esterni?
Ha difficoltà a giocare quietamente?
Spesso chiacchiera troppo?
Spesso origina delle risposte prima che abbiate finito di fare la domanda?
Spesso sembra non ascoltare quanto gli viene detto?
Spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri, per esempio interrompe i giochi degli altri bambini?
Per perfezionare la diagnosi basta rispondere positivamente a 6 delle 9 domande totali.
Le domande appena riportate contengono parole come “Spesso”, “facilmente”, “di solito”, “troppo”, che non riescono a definire precisamente la quantità dei comportamenti problematici. Cosa significa “spesso” o “facilmente” dipende dalla percezione di chi risponde.
L’insegnante che ci tiene a concludere la sua lezione può avere una sua opinione su cosa significa “Il bambino si distrae facilmente” che non dipende strettamente dal bambino ma dal vissuto che ha rispetto a tanti fattori e variabili diverse.
La diagnosi di ADHD non è scientificamente solida, perché poggia su basi deboli e poco oggettive.
La diagnosi tuttavia è utile se riesce ad attivare risorse per il bambino. Ad esempio con una diagnosi di ADHD la scuola deve permettere al bambino diagnosticato di percorrere una formazione adatta a lui, e deve accettare la sua condizione di bambino iperattivo e disattento. In poche parole deve plasmarsi la scuola e non il bambino.
Non sempre questo è possibile nei fatti, ed è per questo che il lato oscuro della diagnosi è quello di sollevare la disattenzione di un bambino a malattia mentale, che per sua natura può essere curata con i farmaci.
La canzone di Daniele Silvestri e Rancore parla di uno di questi casi, in cui la scuola e il mondo del bambino diagnosticato diventano una prigione.
Argento Vivo – Daniele Silvestri e Rancore
Ho sedici anni
Ma è già da più di dieci
Che vivo in un carcere
Nessun reato commesso là
Fuori
Fui condannato ben prima di nascere
Costretto a rimanere seduto per ore
Immobile e muto per ore
Io, che ero argento vivo
Signore
Che ero argento vivo
E qui dentro si muore.
I primi versi della canzone organizzano il significato della canzone su una polarità: dentro – fuori (“la fuori” / “ qui dentro si muore”).
La parola carcere esplicita uno dei significati di dentro: il dentro è un posto terribile in cui si muore, una prigione, nella quale il banco e l’istituzione scolastica per come è fatta costringe a stare fermi, immobili per ore.
Il dentro ha anche un altro significato: “Qui dentro si muore” può riferirsi al dentro di sé.
Il dentro – fuori organizza la realtà di chi canta, che è un bambino, un bambino che vive solo il dentro e lo vive come coercitivo, perché il suo dentro è stato trasformato, e non gli appartiene più.
Il fuori inoltre non riesce più ad essere vissuto perché viene ricordato, e appartiene al passato. Il dentro – fuori è diventato una polarità temporale: adesso – prima.
La prigione che vive il bambino non è una coercizione fisica, ma psicologica e sociale, quindi non si può evadere da essa.
Il bambino dice che in passato era argento vivo, era materia inafferrabile e dinamica trasformata adesso in qualcos’altro, e che vive solo una parte della polarità dentro – fuori, il dentro, che non gli appartiene più e che diventa carcere.
Questa prigione corregge e
Prepara una vita
Che non esiste più da
Almeno vent’anni
A volte penso di farla finita
E a volte penso che dovrei vendicarmi
Però la sera mi rimandano a casa
Lo sai
Perché io possa ricongiungermi a tutti i miei cari
Come se casa non fosse una gabbia anche lei
E la famiglia non fossero i domiciliari
La detenzione è una istituzione correttiva, non deve punire ma correggere il detenuto e portarlo ad una condotta compatibile con la società (non uccidere, non rubare ecc.).
Così la prigione del bambino dovrebbe correggere il comportamento, la sua iperattività e disattenzione, ma ha come risultato la trasformazione dell’interno del bambino in qualcosa di diverso da sè. Il dentro diventa qualcosa che non gli appartiene più.
Vorrebbe vendicarsi, ma c’è qualcosa che lo trattiene, ed è il fatto che poi verrà mandato a casa. Il bambino sente di poter evadere, per poi comprendere che la sua non è una prigione fisica, perché la prigione lo segue anche fuori dal banco.
L’ADHD e la cura farmacologica
Ho sedici anni ma è già da più di dieci
Che vivo in un carcere
Nessun reato commesso là
Fuori
Fui condannato ben prima di nascere
Uno dei modi in cui si giustificano i nuovi metodi terapeutici delle nuove malattie psicologiche, è la genetica. Il disturbo viene considerato genetico, prescinde quasi dall’individualità del bambino che sembra condannato da fattori che esistono ben prima della sua nascita.
E’ di natura organica, ha a che fare con la materia biologica, quindi si può intervenire con altra materia biologica, il farmaco.
Il farmaco che viene utilizzato per la cura dell’ADHD è il Ritalin, prescrivibile dai 6 anni in poi, una molecola stimolante simile alle anfetamine che sfrutta l’effetto paradosso portando alla sedazione del bambino.
E il tempo scorre di lato ma
Non lo guardo nemmeno
E mi mantengo sedato per
Non sentire nessuno
Tengo la musica al massimo
E volo
Che con la musica al massimo
Rimango solo
Il tempo non attraversa più il bambino, che lo guarda passare di lato perché ormai vive nella sua prigione temporale “adesso – prima”.
Il bambino tuttavia si difende e cerca la soluzione per sopravvivere, il movimento che gli è stato negato lo trova nella musica che gli permette il volo, ma è una soluzione solitaria.
E c’è un equivoco nella
Struttura
E fingono ci sia una cura
Un farmaco ma su misura
E parlano parlano parlano
Parlano
E mi ripetono sempre che devo darmi da fare
Perché alla fine si esce e non saprei dove andare
Ma non capiscono un cazzo, no
Io non mi ci riconosco
E non li voglio imitare
Il bambino ha chiaro che chi gli è intorno non capisce un cazzo di quello che accade, perché chi gli dice che dopo si esce non comprende come è fatto il suo disagio.
Aggressività, rancore e violenza
Avete preso un bambino che
Non stava mai fermo
L’avete messo da solo
Davanti a uno schermo
E adesso vi domandate se sia normale
Se il solo mondo che apprezzo
È un mondo
Virtuale
Io che ero argento vivo
Dottore
Io così agitato, così sbagliato
Con così poca attenzione
Ma mi avete curato
E adesso
Mi resta solo il rancore
Resta solo il rancore che è rabbia inespressa, perché oltre ad essere sedata la natura del bambino, il suo essere dinamico come se avesse l’argento vivo addosso, è sedata anche l’opportunità di esprimere l’aggressività che prova. L’aggressività è una dimensione fondamentale in ogni essere umano ed è qualcosa di diverso dalla violenza, la quale è conseguenza dell’aggressività sedata.
Ho sedici anni
Ma è già più di dieci
Che ho smesso di credere
Che ci sia ancora qualcosa là
Fuori
Chissà se c’è ancora qualcosa là fuori, perché chissà se esiste ancora il fuori. Il fuori, come dicevamo, è diventato il prima che adesso non esiste più.
Suonerà come un richiamo
Paterno il mio nome dentro l’appello
E come una voce materna la
Campanella suonerà
È un mondo nato dall’arte
Per questo artificiale
In fondo è un mondo
Virtuoso
Forse per questo virtuale
Non è una specie a renderlo
Speciale
E dicono
Che tanto è un movimento
Chimico
Un fatto mentale
Il rap di Rancore è l’alternativa alla violenza, l’opportunità di esprimere l’aggressività anche quando è diventata rancore perché sedata.
La rabbia che queste parole riescono a veicolare si allontana per un attimo dal carcere e dalla coercizione psichiatrica dei bambini e prova a proporre una soluzione, e la soluzione sta nel trovare una forma espressiva possibile, una strada utile da percorrere quando quella che si percorreva è stata distrutta in nome della guarigione.
La strada che propone rancore è la strada della creatività, quella dell’arte artificiale, che si distingue dal modo della natura, la genetica e la materia, per come sono viste dalla prospettiva patologizzante.
Dicono che il virtuale, l’immaginazione sia un movimento chimico, un fatto mentale, e come dicevamo è anche questo il modo in cui viene giustificato l’uso del farmaco sul bambino iperattivo.
La strada della creatività svela un’alternativa a questa visione: l’immaginazione è un fatto artificiale, diverso da quella visione del naturale che riduce tutto alla materia negando ciò che non è materiale (Potremmo dire che tutto è materiale, biologico e chimico, ma i comportamenti umani non sono attualmente compresi nella loro complessità da un punto di vista biologico, e per questi motivi sono da considerare non materiali).
Correggere i bambini o correggere la scuola?
Con un bambino distratto
Davvero
È normale
Che sia più facile spegnere
Che cercare un contatto
E’ più semplice sedare che trovare una via comunicativa con i bambini diagnosticati, perché non hanno una comunicazione convenzionale, ma una comunicazione che mette in discussione l’organizzazione sociale partendo dalla scuola.
I bambini distratti sono bambini che non stanno alle regole, che non riescono ad ascoltare, che non riescono a stare fermi. E’ fondamentale iniziare a chiederci se è il bambino che deve essere corretto o se sono le regole a doversi trasformare, abbandonando un approccio che vede i cambiamenti sociali e comportamentali come “nuove malattie in crescita” (vedi autismo ecc.), e iniziando a pensare al fatto che gli individui sono gli stessi, ciò che cambia è l’organizzazione sociale, sono i gruppi ed è la percezione dei pericoli che trasforma le idee su quali sono i problemi e le malattie mentali.
Oggi il bambino distratto è l’espressione di un pericolo che mette in discussione l’istituzione scolastica per come è fatta, e per questo c’è un importante bisogno di correggere il comportamento.
Bisogna iniziare a pensare ad una trasformazione delle nostre percezioni, abbandonare la strada della correzione dell’individuo che esce fuori il selciato.
Dobbiamo provare a pensare che si può andare sulla strada sterrata e che quella asfaltata non è l’unica accettabile.
Le istituzioni scolastiche stanno facendo dei tentativi in questa direzione partendo da indicazioni ministeriali che dall’alto cadono a pioggia ma che non riescono ad essere recepite adeguatamente.
Probabilmente è una questione di metodologia educativa che i bambini con l’argento vivo addosso mettono semplicemente in evidenza.
Morgan Colaianni
Psicologia Clinica. Orientamento Creativo.