Psicoanalisi del testo. Posthumous Forgiveness. Tame Impala e la musica al di là del mondo

Posthumous Forgiveness (Perdono Postumo), titolo del singolo dei Tame Impala, è il perdono di un figlio, Kevin Parker che scrive la canzone, a suo padre che lo tradisce. Il perdono però arriva tardi, quando il padre è già morto. Solo sul titolo potremmo scrivere pagine intere, pensando a come sia comprensibile che il perdono arrivi dopo la morte, dopo che in qualche modo il conto è stato pagato.

Tuttavia per formulare delle ipotesi bisogna partire dal testo:

Ever since I was a small boy
No one else compared to you, no way
I always thought heroes stay close
Whenever troubled times arose

Sin da quand’ero un ragazzino
Nessun altro paragonato a te, in nessun modo
Ho sempre pensato che gli eroi fossero vicini
Ogni volta che arrivavano tempi difficili

Il primo verso definisce un tempo, un passato e di conseguenza un presente; più in generale ci troviamo subito davanti ad una linea temporale.
Una volta definito il tempo i versi successivi parlano di un rapporto, quello tra Kevin Parker e il padre. In quel passato lo vedeva come un eroe, metà divino e metà umano, che era capace di risolvere i problemi che sorgevano ogni volta.

I didn’t know
Ain’t always how it goes

Non sapevo che
Non va sempre così

In questi versi il cantante fa un salto temporale nel futuro, entra nel presente e si allontana da quel bambino sottolineando la sua inconsapevolezza e la sua innocenza.

Every single word you told me
I believed without a question, always
To save all of us, you told us both to trust
But now I know you only saved yourself

Ad ogni singola parola che mi dicevi
Ho creduto senza fare domande, sempre
Per salvare tutti noi, hai detto a entrambi di fidarci
Ma ora so che hai salvato solo te stesso

Questi versi vanno a costituire le premesse di una delusione, perché “I Believed without a question” (Ho creduto senza domande) è una frase al tempo passato e implica il fatto che ora chi canta non crede più.
Le parole usate in questi versi tuttavia possono darci la possibilità di aprire un’ulteriore chiave di lettura.

Guardiamo le seguenti parole: “Believe, word, save all of us, trust, saved”. Se le traduciamo nella nostra lingua italiana (credere, parola, salvarci tutti, fede, salvato) possiamo renderci conto che Parker sta usando un vocabolario culturale che è quello cristiano.

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Credere alla parola del padre chiama in causa un padre divino, che non è metà divino e metà umano come l’eroe citato nei primi versi, ma arriva ad essere qualcosa di vicino alla divinità, nel nostro caso appunto un Dio padre.

Vedere i genitori come essere perfetti, riferimenti infallibili, stelle sempre immobili in una notte buia è qualcosa che capita ai figli quando sono “Small boys” o “Small girls”. Quando diciamo “Small” non dobbiamo intendere solamente una giovinezza anagrafica, ma una condizione che manca di qualcosa; nel caso del racconto di Parker, la mancanza è di consapevolezza intesa come comprensione dei vari aspetti della realtà che possono sembrare anche paradossali quando vengono connessi.

Quali sono questi aspetti paradossali? Il paradosso nasce proprio qui, quando un genitore che è capace di amare un figlio fa soffrire quel figlio. Questo è impensabile se il genitore è divinità perché, come dicevamo, la divinità è interamente perfetta e non integra dentro di sé nessun comportamento negativo. A questo livello di pensiero infatti è possibile solo giudicare una persona come buona o cattiva, e non come portatrice di una complessità irriducibile in una dicotomia.

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Ad un certo punto quindi le divinità cadono dal loro trono, la sofferenza del figlio diventa grande nel momento in cui non riesce a costruire una nuova immagine del genitore che fino a quel momento era un eroe divino. Il genitore all’improvviso viene visto come una persona capace di fare del male oltre che fare del bene e questo comporta la costruzione di una nuova categoria per poter rapportarsi con quel genitore.

Did you think I’d never know?
Never wise-up as I grow

Pensavi che non l’avrei mai saputo?
Non hai mai aperto gli occhi mentre crescevo

Parker fa una domanda, ma sa che non può avere risposta perché il padre è morto, ma si interroga comunque e intanto definisce un primo errore umano del padre, un dio che inizia a cadere.

And you could store an ocean in the holes
In any of the explanations that you gave

E potresti accumulare un oceano nei buchi
In ognuna delle spiegazioni che hai dato

Accumulare un oceano nei buchi è una metafora interessante in cui i buchi rappresentano quelle mancanze che probabilmente in passato erano colmate dalla fede mentre adesso sembrano poter essere riempite solamente da un oceano, che è un oceano preciso (an ocean): un liquido che sorge da una sola sorgente, probabilmente gli occhi di Parker. Come non pensare ascoltando quest’ultimo verso alla canzone dei Pearl Jam in cui Vedder canta: “The ocean is full ‘cause everyone’s crying” (L’oceano è pieno perché ognuno sta piangendo).

Vediamo come Parker ha lasciato la sua condizione di “Small boy” attraverso la ricerca di spiegazioni (explanations) quindi attraverso le domande che nei primi versi erano assenti (I believed without a question, always). Le domande creano un rapporto diverso da quello della fede in cui si crede, senza domande appunto.

And while you still had time, you had a chance
But you decided to take all your sorrys to the grave

E mentre avevi ancora tempo, hai avuto una possibilità
Ma hai deciso di portare tutte le tue scuse nella tomba

Avere tempo” sembra significare “avere vita” perché la vita umana è qualcosa che si pensa sempre in funzione del tempo. L’identità delle persone è profondamente legata al tempo in cui si sta, a che distanza dalla nascita e a che distanza dalla morte. In questo verso capiamo che Parker sta pensando ad un padre umano, un padre che all’improvviso sembra essere sottoposto al tempo della vita e quindi della morte, dal quale invece le divinità sono esonerate.

Il secondo verso, in cui si dice che il padre ha deciso di portare le scuse nella tomba, può essere letto anche in un’altra maniera: hai deciso di far diventare la tomba il tuo scusarsi, la dimostrazione reale e visibile del fatto che sei umano perché puoi morire. Parker sembra dire che le scuse andavano bene insomma, e non ci sarebbe stato bisogno di morire. Morire sembra essere quindi l’ennesimo errore del padre, che però al suo interno contiene l’evidenza della sua umanità. Solo da qui è stato possibile perdonarlo con un perdono postumo.

Did you think I’d never know?
Never wise up as I grow
Did you hope I’d never doubt?
Never wonder, work it out?

Pensavi che non l’avrei mai saputo?
Mai imparato la lezione mentre crescevo
Speravi che non avrei mai dubitato?
Non ti sei mai chiesto di trovare una soluzione?

La prima parte della canzone si conclude con delle domande, le domande che sono state evocate all’inizio quando si parlava di un “Small boy” che non ne aveva e quando poi è apparsa una persona che cercava risposte.
Le domande saranno ancora una volta senza risposta, ma la struttura della canzone che emerge da questo punto in poi ci fa capire che quando ci facciamo le domande probabilmente la cosa più importante che possiamo trovare non sono le risposte, ma dei cambi di prospettive sul mondo che ci circonda e del quale ci domandiamo.

Seconda parte

La canzone è divisa in due, in modo netto. Il passaggio dalla prima alla seconda parte è improvviso proprio come i cambiamenti di prospettiva che si incontrano nella vita.

Il cambiamento infatti arriva all’improvviso, quando meno è aspettato, dopo intuizioni particolari che la psicologia chiama “Insight”: processi rapidi in cui è possibile pensare ad nuovi significati capaci di cambiare le prospettive sulle cose.

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Il cambiamento di prospettiva di cui parliamo è quello in cui il cantante vede all’improvviso il padre come un essere umano in una dinamica di umanizzazione che appartiene al cristianesimo. Per diventare umano il dio padre deve diventare “figlio” perché è l’unico modo per essere sentito come simile a sé.

A questo punto non possiamo negare che la prospettiva del Cristianesimo è una prospettiva maschile (in particolare di figli maschi), un racconto fatto da uomini come la meravigliosa canzone dei Tame Impala.
Da questa prospettiva la madre sembra non essere citata nella canzone forse perché si tratta di una madre la cui presenza nella famiglia non è mai messa in discussione un pò come accade molto spesso nei copioni familiari occidentali, in cui è il padre che latita.

Però non possiamo dire che la madre abbia un ruolo marginale nel racconto perché è solo a partire dalle presenze che si definiscono le assenze. Chi è presente definisce un riferimento dal quale è possibile spostarsi per soffrire degli abbandoni.

Come dicevamo prima in questa seconda parte della canzone la musica cambia improvvisamente, tutto ciò di cui non si riusciva a parlare ed a esplicitare prima adesso diventa raccontabile: Il padre ha tradito la madre e ha abbandonato lui e il fratello ingannando, tra l’altro con poca agilità, la propria famiglia.

I wanna tell you ’bout the time
Wanna tell you ’bout my life
Wanna play you all my songs
Nonetheless, sing along

Voglio parlarti di quando
Volevo raccontarti la mia vita
Volevo farti sentire tutte le mie canzoni
Nondimeno, cantare insieme

Sembra che da questi versi possiamo capire che solo a partire dal proprio desiderio è possibile confrontarsi con la realtà e costruire un cambiamento. Anche se il desiderio di cantare insieme è irrealizzabile Parker può provare a fare qualcosa con quello che ha. Quello che ha è la musica e alla fine della canzone capisce che c’è un modo per fare qualcosa di simile al cantare insieme.

La musica che è qualcosa di simile ad un rituale ripetuto ad ogni concerto permette a Parker di ritualizzare un dialogo e avvicinarlo ad un contesto emotivo che appartiene alla non esistenza di cui fa ormai parte il padre. La canzone infatti parla verso la non esistenza e forse per questo come dicevamo prima nella canzone non c’è la madre, che invece è esistente e presente.

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Possiamo quindi considerare l’ultima strofa come l’effettivo dialogo tra Parker e il padre in cui lui gli parla dei desideri che adesso (This time) ha. Cosa più importante, Parker riesce a far arrivare a suo padre il perdono.
Parker dice: “Ho capito che eri solo un uomo / e so che avevi i tuoi demoni / Ce li ho anche io”. Qui possiamo pensare che il padre divino è diventato umano e questo è accaduto attraverso la scoperta della somiglianza tra padre e figlio, dopo tutte le differenze e incomprensioni che sono state cantate. Mi viene da pensare che solo a partire dalla scoperta di tutte le differenze è stato possibile scoprirsi simili.

Posthumous Forgiveness è una canzone che parla del padre che abbandona e della grande possibilità che c’è dietro al perdono, se per perdono intendiamo umanizzazione del genitore che amiamo. In altre parole: le divinità non sbagliano, mentre gli esseri umani falliscono continuamente e solamente a partire dagli errori riescono a fare cose di cui in un futuro saranno fieri.

Da psicologo e da figlio mi sono trovato a confrontarmi con l’umanizzazione del genitore e ho pensato che proprio a partire dall’umanizzazione è possibile costruire relazioni in cui c’è uno scambio.

La canzone dei Tame Impala ci da una grande mano a capire che può valerne la pena confrontarsi con il tempo il quale così come ci fa nascere, ci fa morire. Parker e i Tame Impala ci dicono che può essere una buona idea anticipare la sua funzione trasformativa o meglio cavalcarne l’onda e cercare di costruire uno scambio con i genitori umani prima di essere costretti a dover pregare genitori divini che non ci sono più.

 

Morgan Colaianni
Psicologia Clinica. Orientamento Creativo.

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